Liberazione

Non sapevo se scrivere qualcosa sul 25 aprile, non perché non senta questa ricorrenza, tutt’altro, ma perché non mi andava di scrivere qualcosa che non fosse già stato detto, non volevo affrontare l’argomento dal solito punto di vista. Visto che poi le polemiche e le stroncature sono sempre dietro l’angolo, nessuno pensi che io non riconosca il valore della Resistenza, dell’importanza che ha avuto quel movimento nella storia d’Italia e tutto il resto. Semplicemente non volevo aggiungere le mie banali considerazioni ad un argomento di cui in questi giorni si è già parlato (giustamente) molto.
Poi mi è capitato per le mani uno scritto di un amico che, attraverso la storia di un treno, parlava della voglia di riscatto dell’Italia del dopoguerra [1] e allora le due rotelline della mia testolina matta si sono messe in movimento. Ho coinvolto Cristian in una profonda discussione e questo è quello che ne è uscito…

Ci fu un tempo in cui l’Italia usciva dal periodo peggiore della sua storia unitaria. Il ventennio fascista, la più devastante guerra dell’epoca contemporanea, combattuta dalla parte sbagliata, un paese distrutto, ridotto in macerie. Ma quel paese aveva voglia di rivalsa, voleva dimostrare che non era solo i Balilla e il Sabato Fascista, gli squadristi e l’olio di ricino, le leggi razziali del 1938 e la Campagna di Russia, con i soldati mandati a morire congelati con le scarpe di cartone. Un paese vivo, nonostante tutto, che si raccoglieva attorno alla sua parte migliore, quei semplici cittadini che si erano uniti per combattere il nemico interno e quello esterno, che il primo ci aveva lasciato come un ospite sgradito. Quegli italiani che presero le armi per vincere la guerra e uscire dalla situazione in cui (non senza colpe, in verità) erano precipitati, gli stessi italiani che, dopo il 25 aprile 1945 iniziarono a ricostruire un paese che quasi non esisteva più, né come istituzioni, né tanto meno come economia e capacità produttiva.
Settantacinque anni dopo, noi, i nipoti di chi aveva ricostruito il nostro paese dopo la guerra, ci troviamo in una situazione che per tanti versi ricorda quel passato. No, non è un’esagerazione. Certo le situazioni sono molto diverse, ma ancora una volta ci troviamo a dover raccogliere i cocci di un paese in frantumi, perché alla fine la situazione non sarà tanto diversa. Non saranno macerie fisiche, come quelle di allora, ma il tessuto sociale, produttivo ed economico sarà dilaniato come a quel tempo.
Un virus e una classe politica indecente, due cose che in altre circostanze sarebbero state gestibili, hanno messo in ginocchio un intero paese.
Ecco allora che la Resistenza ci viene in aiuto, perché da quello che fecero i nostri nonni allora possiamo e dobbiamo trovare l’insegnamento per ricostruire l’Italia.
La nostra generazione ha già perso un’ occasione per ricostruire il paese: tra il 1992 e il 1994 si è consumata una rivoluzione sotto i nostri occhi e noi non lo abbiamo capito e abbiamo lasciato che le cose andassero a modo loro. Tangentopoli aveva rovesciato l’Italia e noi, che avevamo tra i sedici e i vent’anni allora e avremmo dovuto guidare quella rivoluzione, non fummo capaci di farlo, con il risultato di vent’anni di berlusconismo che hanno intossicato l’Italia e i cui postumi arrivano fino ad oggi.
Non possiamo fallire di nuovo, adesso che di anni ne abbiamo tra i quaranta e i cinquanta e siamo nella posizione di decidere cosa fare.
Serve un progetto per una nuova Italia in un nuovo mondo. Inutile illudersi, molte, moltissime cose non torneranno ad essere come prima. Ci sarà un prima e un dopo il COVID-19. Una classe politica lungimirante questo lo capirebbe e lavorerebbe su idee e progetti a breve, medio e lungo termine per governare il cambiamento che, volenti o nolenti, il virus ci obbligherà a fare.
E’ il momento di una nuova Resistenza, diversa da quella di allora, ma che ne condivida le idee e gli obiettivi, portandoli, con i necessari adattamenti, nei giorni nostri.
Entusiasmo, voglia di fare, attenzione per le nuove sfide tecnologiche ma anche per i più deboli: queste sono le cose che dovranno guidarci per ricostruire il paese.
Ma ne saremo capaci? Perché una delle grandi differenze tra l’Italia del dopoguerra e quella di oggi è proprio nella statura della sua classe politica. I giganti di allora si contrappongono ai nani di oggi. Ma una classe politica è sempre espressione dei cittadini che la eleggono e quindi il percorso da fare è lungo e irto di difficoltà.
Eppure gli esempi da seguire ci sarebbero, nella politica come nell’economia o nella cultura, basterebbe volerlo fare. Basterebbe guardare a come i nostri nonni hanno prima liberato l’Italia e poi l’hanno ricostruita.

[1]: Quando le Ferrovie italiane alzarono la testa: il Settebello

Mezza bolognese e mezza romagnola, ingegnere, mamma, moglie e tante altre cose.
Terribilmente nerd, curiosa come un gatto, cerco capire e conoscere le cose e le persone.
Orgogliosamente a sinistra da sempre.

In realtà mi chiamo Cristian, lavoro in campagna, ma non faccio il contadino e ho sicuramente più vizi privati che pubbliche virtù. Tra i primi, oltre alle vergini quarantenni c'è da sempre la politica e l'impegno sociale, sui quali mi diletto a scrivere cazzate...