Ieri, oggi, domani

Col passare degli anni faccio sempre più fatica a parlare del 25 aprile. Non perché non condivida i valori della resistenza, che sono anche quelli alla base della nostra Carta Costituzionale, ma perché credo sia ora di andare oltre.
Ora mi aspetto schiere di strenui difensori dell’antifascismo militante che portano i loro attacchi mediatici a questo disgraziato che ha osato dire una cosa simile, ma non mi interessa e proseguo.
Ho tirato in mezzo la nostra Chiara in questa discussione a causa di questo suo tweet di qualche giorno fa, passato quasi sotto silenzio:

Una democrazia compiuta può essere tale se e solo se è in grado di chiudere i conti con il proprio passato. Finché non saremo in grado di consegnare definitivamente alla storia gli accadimenti del Novecento non potremo mai considerarci un moderno stato realmente democratico

Partiamo da qua, da queste due frasi per cercare di spiegare la frase shock all’inizio.
Un fatto storico di enorme portata, come fu la Resistenza italiana, impatta sul presente, nel quale avviene, e sul futuro, al quale lascia i suoi valori principali dei quali le generazioni che verranno dovranno fare tesoro.
Credo sia inutile che illustri questo aspetto, dovrebbe essere evidente, ma lo farò ugualmente con un esempio volutamente banale: se nel 1943 passare alla lotta armata in clandestinità era qualcosa di necessario, oggi chi parlasse di certe cose finirebbe in galera o, nel migliore dei casi, in una residenza psichiatrica, perché, mi sembra superfluo evidenziarlo, il contesto storico è totalmente diverso. Al contrario, i valori fondanti di quel fatto storico sopravvivono allo stesso e, nello specifico, libertà, democrazia e giustizia sono ancora oggi alla base della Carta fondamentale della Repubblica Italiana.
Oggi parlare di antifascismo usando gli stessi termini del 1943 o degli anni ’70, come se i nemici di quei valori fondanti della Repubblica fossero ancora gli stessi è semplicemente fuori dal tempo.
Consegnare definitivamente determinati accadimenti alla storia significa proprio questo: comprendere che quello che accadde fu anche a causa del contesto storico in cui ci si trovava e si svolse e giunse a conclusione nello stesso periodo ormai lontano nel tempo dall’oggi (nel caso della resistenza parliamo di 80 anni ormai) e deve essere studiato con la lente della storia e non con quella dell’attualità.
Esiste però un passaggio indispensabile perché questo possa accadere: occorre che si proceda ad una disamina dettagliata di ciò che accadde, una sorta di processo, che porti alla luce tutto ciò che c’è da sapere sugli avvenimenti e vi ponga la parola fine. Deve trascorrere un tempo più o meno lungo perché si prenda coscienza di quanto accaduto e lo si possa analizzare lucidamente e senza pregiudizi, ma prima o poi deve essere fatto. In caso contrario quegli eventi restano in una sorta di limbo, di eterno presente, mentre però il mondo attorno va avanti rendendoli semplicemente anacronistici. Chiudere i conti con il proprio passato, come scritto nel tweet di Chiara.
Questo passaggio indispensabile in Italia semplicemente non è mai stato fatto, a mia memoria (e non sono più un ragazzino) per nessun avvenimento che abbia segnato la storia dall’inizio del novecento in poi. Non per il ventennio fascista, non per la Resistenza, non per le foibe, non per gli anni della strategia della tensione, non per Mani Pulite, solo per citare i primi eventi che mi vengono in mente. In qualche caso (penso alla storia della Loggia P2) ci sono state commissioni parlamentari di indagine che hanno fatto un ottimo lavoro, portando alla luce moltissimo di ciò che accadde, ma si tratta, per l’appunto di singoli casi.
Certo, eminenti studiosi, scrittori, storici hanno parlato abbondantemente e diffusamente di tutto questo, senza che si passasse dalle discussioni accademiche a fatti più concreti. In molti, ad esempio, a proposito del ventennio fascista denunciano la mancanza di una “Norimberga italiana” che avrebbe potuto far luce in maniera ufficiale sulle colpe e sulle responsabilità di quel periodo.
Così oggi, a 80 anni da quei fatti non ci siamo portati nel presente solo gli insegnamenti di quel periodo storico e i valori che portarono quelle persone a compiere determinate scelte, ma continuiamo a comportarci, da entrambe le parti, come se il tempo non fosse trascorso. A destra si inneggia al Duce, a sinistra a Marx, come se fossimo ancora a cent’anni fa. Sono passati 105 anni dalla Rivoluzione d’ottobre e 100 dalla marcia su Roma ed è stato un secolo intensissimo in cui tutto è cambiato in modo e con una velocità inimmaginabile, il mondo è diventato una cosa completamente diversa e per questo avrebbe bisogno di pensieri diversi, mutuati dagli insegnamenti della storia di quel periodo, ma calati in una realtà totalmente differente.
Ma l’Italia di oggi non ne è capace.

In realtà mi chiamo Cristian, lavoro in campagna, ma non faccio il contadino e ho sicuramente più vizi privati che pubbliche virtù. Tra i primi, oltre alle vergini quarantenni c'è da sempre la politica e l'impegno sociale, sui quali mi diletto a scrivere cazzate...

Mezza bolognese e mezza romagnola, ingegnere, mamma, moglie e tante altre cose.
Terribilmente nerd, curiosa come un gatto, cerco capire e conoscere le cose e le persone.
Orgogliosamente a sinistra da sempre.